L’1% degli italiani adulti ha la gotta e la sua incidenza è in crescita in tutto il mondo, a causa dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento di obesità e diabete, dell’abuso di alcol e della diffusione di alcune classi di farmaci. I reumatologi della SIR, Società italiana di reumatologia, richiamano l’attenzione su una patologia tutt’altro che scomparsa. Andrea Doria, presidente della SIR, sottolinea:
oggi in Italia, il 20% della popolazione adulta presenta elevati livelli di acido urico nel sangue (iperuricemia), causa diretta della gotta. Non tutti i soggetti con iperuricemia vanno poi incontro alla malattia, che si verifica quando l’accumulo di acido urico deposita dei cristalli a livello articolare, dando origine ad attacchi di dolore acuti e intermittenti ed evolvendo in una forma cronica di artrite.”
“L’incidenza della patologia – aggiunge Doria – è in costante aumento. È un trend che si osserva a livello mondiale, tanto che la malattia ha ormai fatto la sua comparsa anche in Paesi in cui non se ne aveva notizia, come la Cina. La gotta è, quindi, un problema di salute pubblica da non sottovalutare. Fortunatamente, con la diagnosi precoce e terapie appropriate, cui affiancare sana alimentazione e moderata attività fisica, è possibile gestirla efficacemente e anche farla regredire. In più, poiché l’iperuricemia è un importante fattore di rischio cardiovascolare, tenerla sotto controllo significa fare prevenzione non solo nei confronti della gotta ma anche rispetto alle patologie cardiocircolatorie e dismetaboliche”.
I falsi miti sulla gotta
In passato la diffusione della gotta e la sua diffusione nelle classi sociali più elevate ha fatto sorgere leggende che associavano la malattia addirittura a una maggiore intelligenza e virilità. Leonardo Punzi, direttore dell’Istituto di Storia della Reumatologia, racconta:
“Il 2 aprile del 1725 nasceva Giacomo Casanova, che rappresenta il prototipo perfetto di come fosse rappresentato il paziente affetto da gotta, ossia virile e intelligente. Si tratta di una voce messa in circolazione dai medici dell’epoca per compiacere i potenti a cui diagnosticavano la malattia. Recenti studi, tuttavia, hanno chiarito come l’acido urico sia uno stimolante dell’attenzione al pari della caffeina, con cui ha una grande similitudine chimica. In più, l’aumento dei valori di uricemia ha avuto anche una sua ‘utilità’ evolutiva, perché grazie alle proprietà antiossidanti, anti-ipotensive e stimolanti dell’acido urico, ha facilitato il passaggio dell’uomo alla posizione eretta. Questo non significa che arrivare all’iperuricemia sia un bene: l’attacco acuto di gotta è proprio l’allarme lanciato dall’organismo per segnalare un eccesso pericoloso”.
“La storia – prosegue Punzi – ci aiuta a sfatare un altro falso mito, quello dell’alimentazione, che certamente ha un ruolo nel favorire l’insorgenza e l’aggravarsi della gotta, ma non è l’unica causa dell’ampia diffusione della patologia tra i ceti benestanti del passato, avvezzi al consumo di grandi quantità di carne. Molti gottosi erano, infatti, vegetariani, da Leonardo Da Vinci a Theodore Franklin, o altri piuttosto parchi, come Michelangelo Buonarroti. Peraltro, con la scoperta dell’America nel ‘500 cominciano ad apparire sulle tavole europee molte verdure o legumi che contribuiscono a ridurre il consumo di carne. I veri motivi erano altri: l’uso smodato di alcol e le frequenti intossicazioni da piombo, contenuto anche nei cosmetici dell’epoca”. E conclude:
anche oggi abbiamo osservato come i pazienti con la gotta raramente raggiungano valori normali di acido urico solo grazie alla dieta. Nella maggioranza dei casi è necessario prescrivere una terapia farmacologica. Gli studi degli ultimi anni hanno evidenziato l’importanza della riduzione del peso e dell’attività fisica nella gestione dei pazienti affetti da gotta e iperuricemici, non solo per gli effetti benefici di tali comportamenti sulla malattia di per sé, ma anche sulle altre patologie che spesso sono compresenti, come ipertensione, infarto, ictus, obesità e diabete”.