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Dal pediatra reumatologo al reumatologo dell’adulto: un passaggio critico

Una survey di APMARR presentata all’EULAR racconta le difficoltà di malati e caregiver

Scarsa comunicazione e poco coordinamento tra i medici specialisti, senso di abbandono avvertito come un impatto diretto sulla sfera personale emotiva e psicologica, eccessiva burocrazia che allunga a dismisura i tempi di attesa delle visite. Sono diverse le criticità messe in luce dai soggetti affetti da patologie reumatologiche e dai loro caregiver in una fase delicata della vita del paziente, quella del passaggio dalle cure del pediatra reumatologo a quelle del reumatologo dell’adulto. È quanto emerso da una survey dal titolo The transition from pediatric to adult healthcare: a leap into the dark?, presentata dall’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (APMARR) in occasione della 25ᵃ edizione del congresso della European Alliance of Associations for Rheumatology (EULAR), tenutosi recentemente a Vienna, in Austria.

Si tratta di un’indagine quali-quantitativa condotta su un campione nazionale di 394 persone; di queste 308 erano caregiver di persone con malattie reumatologiche di età compresa tra 14 e 20 anni che hanno già affrontato il passaggio da uno specialista all’altro (N= 139) o che non l’hanno ancora affrontato (N= 169), mentre 86 erano soggetti con almeno una patologia reumatologica, di età compresa tra 16 e 30 anni, di cui 72 hanno già effettuato la transizione e 14 ancora no.

E il risultato che emerge è che quasi un caregiver su 4 (24,7%) denuncia la mancanza d’informazioni complete e dettagliate sul processo di transizione tra gli specialisti. Antonella Celano, presidente di APMARR, ha dichiarato:

Il passaggio dalle cure pediatriche a quelle del reumatologo dell’adulto è particolarmente delicato ed è un momento cruciale nella direzione dello sviluppo di un adolescente. Una corretta transizione delle cure dal reumatologo pediatra a quelle dello specialista dell’adulto è fondamentale per consentire ai giovani adulti di non interrompere la continuità terapeutica, mandando in remissione la patologia e mantenendo una buona qualità della vita.”