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Anziani fragili, attenzione alla perdita di massa magra

Attività fisica e un intervento nutrizionale consentono di contrastare il processo, secondo la Società Italiana di Nutrizione Clinica

Quale ruolo ha la perdita della massa magra nell’invecchiamento dell’organismo? La domanda non è oziosa, tenuto conto dell’elevata aspettativa di vita nel nostro Paese e dell’incremento della quota di popolazione nella terza età. È infatti uno degli argomenti affrontati nel recente Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Clinica (SINuC), tenutosi a Lecce.

La prima considerazione da fare è una distinzione tra la perdita di massa muscolare che si può verificare in tutte le persone – si calcola che in media sia dell’ordine dello 0,8% all’anno a partire dalla quinta decade d’età – e quella che si associa invece a uno stato di fragilità, segnalata da alcuni marker d’infiammazione e da un incremento dei livelli di IL6 e TNF alfa.

Maurizio Muscaritoli, direttore dell’UOC di Medicina interna e Nutrizione clinica presso il Policlinico Umberto I di Roma e presidente della SINuC spiega:

La perdita delle riserve fisiologiche è un processo normale, ma in certe condizioni l’organismo ‘va in riserva’ più velocemente. Ciò avviene per esempio quando ci troviamo di fronte ad un organismo ‘fragile’, termine che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia. Il soggetto fragile è più vulnerabile a parità di età anagrafica e fisicamente presenta una diminuzione di forza e resistenza muscolare, stanchezza, debolezza, riduzione della velocità di cammino, a seconda dei modelli biologici considerati”.

Sull’inquadramento diagnostico della perdita di massa magra è intervenuto il professor Paolo Orlandoni, Direttore UOSD Nutrizione Clinica IRCCS-INRCA di Ancona:

la perdita della massa magra è da considerarsi una vera e propria sindrome clinica che chiamiamo ‘sarcopenia’. La diagnosi si fa in base a tre parametri: bioimpedenziometria (BIA) e densitometria a raggi X (DEXA), forza muscolare con la misurazione della forza della mano con dinamometro (hand grip) e lentezza del cammino valutati con lo speed gait o il 6-min walk test”.

In questo quadro complessivo, l’obiettivo diventa quindi salvaguardare più a lungo possibile le capacità funzionali. Uno dei fattori su cui puntare è per esempio l’attività fisica, che consente di migliorare la sensibilità all’insulina, rallentare la morte delle cellule muscolari e diminuire i livelli d’infiammazione. Un’altra opzione è naturalmente un intervento nutrizionale mirato e sotto controllo medico, in cui trova spazio anche l’integrazione con aminoacidi essenziali, efficace e sicura, per via endovenosa o per os. Orlandoni ha concluso:

lo specialista che gestisca l’apporto proteico deve tenr conto che la capacità di utilizzare le proteine nell’organismo anziano diminuisce di circa il 28% e della presenza di molecole cataboliche che interferiscono in negativo sugli ormoni della crescita e gli androgeni. In questo contesto, stanno aumentando gli studi sperimentali e clinici che documentano l’efficacia della supplementazione proteica o con aminoacidi”.