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Artrite reumatoide, l’impatto dei fattori socioculturali sulla risposta al trattamento

La Fondazione Italiana per la Ricerca in Reumatologia (FIRA) in un recente incontro con la stampa ha evidenziato come nel campo delle malattie reumatologiche nuove ricerche abbiano messo in luce il ruolo dei fattori ambientali e socioeconomici nell’incidenza e nella risposta al trattamento, anche con i nuovi farmaci.

Il professor Carlomaurizio Montecucco, presidente di FIRA e ordinario di Reumatologia dell’Università di Pavia al Policlinico San Matteo, spiega:

I risultati ottenuti nella cura dell’artrite reumatoide negli ultimi due decenni sono stati a dir poco sensazionali. Attraverso l’istituzione di apposite strutture organizzative denominate “Early Arthrtitis Clinic”, che consentono una diagnosi precoce e un trattamento volto al rapido e completo controllo della malattia, è oggi possibile ridurre al minimo la invalidità, un tempo inevitabile, e azzerare l’eccesso di mortalità che storicamente accompagnava questi pazienti.”

“Tuttavia – prosegue Montecucco –  una quota non trascurabile di pazienti, calcolabile intorno al 15%, si dimostra ancora refrattaria ai trattamenti e pone problemi rilevanti nella gestione della malattia. L’attenzione della ricerca si sta quindi incentrando su questa popolazione cercando di chiarire i motivi delle difficoltà a trattare efficacemente questi casi. Tra i fattori più importanti nell’identificazione della popolazione “difficile da trattare” vi sono l’obesità e il fumo (fattori di rischio per lo sviluppo stesso dell’artrite) e il basso livello socioeconomico. Quest’ultimo fattore impatta significativamente sulla risposta al trattamento con farmaci biologici anche in nazioni, come il Regno Unito, che hanno un sistema sanitario universalistico come il nostro che consente a tutti il medesimo accesso alle cure. Risulta pertanto chiaro che, oltre alla ricerca di nuovi farmaci volti al controllo dell’infiammazione articolare e delle alterazioni immunologiche proprie della malattia, la nostra attenzione vada diretta allo stile di vita e ad aspetti socioculturali. Ad esempio, un fattore decisivo per la buona risposta terapeutica è l’aderenza alla terapia e questa è certamente inferiore nelle classi sociali e culturali meno privilegiate.” E aggiunge:

Un altro aspetto emergente nell’ultimo decennio è il cambiamento delle caratteristiche della malattia che appare meno grave dal punto di vista dell’infiammazione e della deformità articolare ma più impattante sulla qualità di vita dei pazienti. Esiste una quota di pazienti che, grazie al trattamento, hanno una malattia “spenta” a giudizio del medico ma che continuano a soffrire di dolori, stanchezza e profondo senso soggettivo di malessere. È attualmente in corso un vigoroso dibattito scientifico sulla natura di questi disturbi che sono stati per lo più interpretati come di natura “psicologica”. In realtà appare probabile che possa trattarsi di una infiammazione residua limitata al sistema nervoso e non direttamente diagnosticabile gli abituali indicatori utilizzati nell’artrite. L’efficacia di alcuni farmaci per l’artrite che attraversano la barriera emato-encefalica e che quindi sono in grado di agire sulla neuro-infiammazione sembra fornire prove a supporto di questa possibilità e aprire nuove strade di trattamento anche per questi pazienti.”

Riferimenti bibliografici

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