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Il trattamento con DMARD non aumenta il rischio COVID-19
Pubblicati i dati relativi alla popolazione della provincia di Reggio Emilia
I pazienti che ricevono farmaci antireumatici immunomodulanti non sono a maggior rischio o hanno una maggiore gravità dell’infezione da coronavirus 2019 (COVID-19), secondo una lettera pubblicata su “Annals of the Rheumatic Diseases” a firma di Carlo Salvarani, dell’Unità di Reumatologia della USL di Reggio Emilia e colleghi.
Si tratta di uno studio di popolazione su soggetti trattati con farmaci antireumatici biologici (bDMARD) o DMARD sintetici mirati (tsDMARD) che dà una risposta agli interrogativi, emersi negli ultimi mesi nella comunità dei reumatologi, sulla possibile correlazione tra assunzione di questi farmaci e gravità della COVID-19. Nella popolazione della provincia di Reggio Emilia, gli investigatori hanno cercato di valutare l’effetto sia sul rischio di infezione da nuovo coronavirus, sia sulla gravità della malattia.
In totale sono stati trattati con bDMARD o tsDMARD 1195 soggetti (per il 56,2% donne) tra gli oltre 500.000 residenti nella provincia di Reggio Emilia. Rispetto a tutti i residenti, quelli trattati con DMARD sono stati testati per la COVID-19 con una frequenza significativamente più alta (1,4% vs. 1,7%), ma non è emersa alcuna differenza significativa nella frequenza dei tamponi positivi (47,1% vs. 36,0%). Non c’è stata una differenza significativa neppure nel tasso di ospedalizzazione tra gli individui trattati con DMARD rispetto a tutti i residenti (44,4% vs. 35,8%).
Anche la frequenza dei decessi è risultata simile tra i gruppi (10,2% vs. 11,1%).
Dopo l’adattamento per l’età e il sesso, i pazienti trattati con bDMARD o tsDMARD avevano una maggiore probabilità di essere sottoposti al test (odds ratio [OR]. 1,19), spesso risultavano positivi (OR: 0,62), e ricoverati in ospedale (hazard ratio: 1,28); tuttavia, queste correlazioni non erano statisticamente significative.