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Covid-19, ricovero ospedaliero per la metà dei pazienti reumatologici

Il 46% dei malati reumatologici che ha contratto l’infezione da Covid-19  è andata incontro a un ricovero ospedaliero. Su oltre 500 casi il 10% ha avuto necessità di ventilazione invasiva. Il dato è contenuto nel report presentato al 57° Congresso Nazionale della SIR di “Control-19”, il primo registro al mondo che studia le conseguenze del Coronavirus in reumatologia. E’ stato istituito dalla Società Italiana di Reumatologia (SIR) a partire dallo scorso mese di marzo.

I dati, precisa la SIR, vanno  interpretati alla luce del fatto che la maggior parte dei casi segnalati a partire dalla scorsa primavera erano riferiti a pazienti con forme gravi, nelle quali il tampone veniva eseguito quando il paziente era già in ospedale. Finora sono stati raccolti, su tutto il territorio nazionale, i dati di 545 uomini e donne. Al momento dell’infezione la casistica, prevalentemente femminile, era costituita da pazienti con artrite reumatoide (33%), spondiloartrite (27%), connettiviti (20%) vasculiti (9%) e altre malattie (9%).

“Dalle prime analisi risulta che se un paziente reumatologico viene colpito da Covid-19 presenta un esito relativamente più severo rispetto alla popolazione generale e ciò vale anche per la mortalità con un eccesso di rischio pari al 50% in particolare nella popolazione femminile giovane – afferma Luigi Sinigaglia, Presidente Nazionale della SIR -. Al momento invece non possiamo ancora stabilire se una patologia reumatologica sia in grado di favorire o meno l’infezione. Grazie all’isolamento preventivo dei pazienti, soprattutto durante la prima fase dalla pandemia, siamo riusciti a limitare i contagi. Vanno quindi rispettate le regole di profilassi sanitaria stabilite dagli ultimi provvedimenti governativi. I pazienti, soprattutto quelli interessati da patologie infiammatorie croniche in fase di attività e non completamente controllate dalla terapia, devono limitare il più possibile gli spostamenti e i contatti sociali. Questo dovrà valere anche durante le imminenti festività natalizie e di fine anno”.

“Al momento del contagio al 17% dei pazienti era somministrata idrossiclorochina mentre l’80% assumeva farmaci biologici – aggiunge Guido Valesini, Vice Presidente della SIR -. I dati finora raccolti dimostrano che le terapie che molti pazienti reumatologici seguono, come l’idrossiclorochina e la clorochina  non hanno effetti preventivi sul  contagio mentre non sembrano emergere rischi maggiori per chi utilizza i cosiddetti farmaci modificanti il decorso delle malattie, sia di tipo sintetico sia di tipo biotecnologico. I dati non sono tuttavia definitivi e sono allo studio nuove possibilità di intervento terapeutico o preventivo con altri farmaci reumatologici. Il nostro auspicio è che i vaccini al momento in fase di approvazione siano quanto prima disponibili per tutta la popolazione e soprattutto per i pazienti fragili come quelli reumatologici”.

“Bisogna comunque proseguire con le cure e i trattamenti anche durante queste difficili settimane – sottolinea Roberto Gerli Presidente Eletto SIR -. La scarsa o non corretta aderenza terapeutica è un problema che interessa già solitamente ben quattro pazienti su dieci colpiti da artrite reumatoide. Le innumerevoli difficoltà ed emergenze sanitarie legate alla pandemia rischiano di amplificare ulteriormente il fenomeno della mancata aderenza con gravi conseguenze. Interrompere le cure determina possibili riacutizzazioni  della patologia. In diverse Regioni molti reparti di Reumatologia sono stati costretti a ridurre le prestazioni assistenziali o sono stati riconvertiti per accogliere pazienti colpiti da Coronavirus. E’ necessario un grande sforzo da parte di tutti medici, istituzioni e caregiver per non abbandonare proprio in questo momento difficile gli oltre 5 milioni d’italiani con una malattia reumatologica”.

“Ll’Italia è stato il primo paese europeo ad essere pesantemente colpito dalla pandemia – spiega Carlo Scirè, Responsabile del Centro Studi SIR -. Fin dal marzo scorso abbiamo compreso la necessità di istituire uno strumento scientifico per monitorare la circolazione del virus tra i nostri pazienti. I pazienti reumatologici sono il paradigma della fragilità e spesso soffrono di altre patologie concomitanti che ne aggravano le condizioni cliniche. Tutti i dati raccolti sono stati condivisi con il registro europeo dell’EULAR (European League Against Rheumatism) e con un Registro che recluta casi a livello mondiale”.