Andrea Doria, presidente eletto della Società italiana di reumatologia, spiega come le vaccinazioni rientrino nella gestione ottimale del pazienti reumatologico negli scenari aperti dalle…
Covid-19, le malattie reumatologiche non aumentano il rischio di contagio
Presentati i primi dati relativi a 165 pazienti reumatologici italiani in cura per l’infezione da SARS-CoV-2, raccolti dal “Control-19”, il primo registro al mondo sugli effetti del Coronavirus nei malati reumatologici, avviato dalla Società Italiana di Reumatologia. Secondo questi primi dati l’infezione da Covid-19 nei pazienti reumatologici non è particolarmente frequente e il rischio di contagio non sembra essere aumentato. Quando però il virus colpisce questi malati la prognosi può essere severa.
Nello specifico l’età media dei pazienti è di 62 anni e oltre l’80% proviene dalle Regioni del Nord più colpite dalla pandemia: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. Le patologie al momento dell’infezione erano: artrite reumatoide (35%), spondiloartrite (21%), connettiviti (19%) e vasculiti (12%). Più del 50% dei malati presentava almeno due comorbidità. I pazienti inclusi nello studio erano per il 70% ricoverati in ospedale e nel 7% dei casi si è resa necessaria la ventilazione meccanica in terapia intensiva.
“Si tratta di dati preliminari e relativi a marzo e aprile, quando cioè la pandemia ha registrato gli effetti più devastanti su tutta la popolazione – afferma Luigi Sinigaglia, Presidente Nazionale della SIR -. Ora andranno analizzati nel dettaglio. La confluenza dei nostri dati nei registri internazionali, come quello patrocinato da EULAR, ci consentirà di disporre di informazioni molto preziose per tutta la comunità scientifica sulla base di un numero di casi molto maggiore. La Società Scientifica ribadisce l’invito a tutti i pazienti a proseguire con le terapie reumatologiche prescritte e a non modificare il trattamento in atto poiché la maggior parte delle infezioni si sono verificate in pazienti con malattia non completamente controllata”.
“Dopo lo shock iniziale delle prime settimane siamo riusciti a riorganizzare l’assistenza reumatologica – aggiunge Roberto Caporali, Segretario alla Presidenza SIR -. Nelle nostre strutture sanitarie i percorsi sono ormai separati e possiamo proseguire a somministrare in piena sicurezza terapie, controlli medici ed esami diagnostici”.
La reumatologia è stata al centro dell’attenzione soprattutto nelle prime fasi della pandemia, in quanto molti farmaci utilizzati per il trattamento di alcune patologie reumatologiche sono stati proposti anche per contrastare gli effetti dell’infezione virale.
“Dopo una prima fase di entusiasmo – sostiene Guido Valesini, Vice Presidente SIR – abbiamo cominciato a valutare i dati con il necessario rigore scientifico e ad oggi non abbiamo una risposta certa sulla efficacia di molte di queste terapie sull’infezione, né tanto meno sulla loro potenzialità preventiva. Sono necessari nuovi studi prospettici per pervenire a una risposta definitiva. Uno dei problemi emersi, negli ultimi due mesi in tutto il Vecchio Continente, è stata la carenza di alcuni farmaci e in particolare di clorochina e idrossiclorochina. Sono due molecole da anni utilizzate in reumatologia e di recente sono state sperimentate per la prevenzione o il trattamento di infezioni da Covid-19. La loro efficacia in realtà è risultata ridimensionata e adesso idrossiclorochina e clorochina non sono consigliate per uso comune al di fuori di studi approvati e tuttora in corso. Anche dai dati preliminari del nostro Registro risulta che ben il 16% dei malati assumeva idrossiclorochina e questo non ha impedito l’infezione. Vogliamo quindi rassicurare i pazienti sul fatto che in Italia non dovrebbero esserci più problemi di disponibilità di alcuni farmaci”.
“Anche altre terapie normalmente impiegate nel trattamento di malattie autoimmuni reumatologiche sono state sperimentate contro il Coronavirus – sottolinea Valesini -. E’ questo il caso dei farmaci inibitori di interleuchina 6 e del TNF-alfa. Potrebbero per la loro potente azione anti-infiammatoria avere un ruolo nella terapia dell’infezione. Tuttavia mancano al momento risultati definitivi”.
“Molte di queste ricerche vengono condotte anche nel nostro Paese e questo dimostra come la reumatologia italiana sia davvero un’assoluta eccellenza del nostro sistema sanitario nazionale – prosegue Roberto Gerli, Presidente Eletto SIR -. La SIR si è fatta anche promotrice di due studi che sono stati approvati da AIFA sull’impiego di un ben noto farmaco reumatologico, impiegato nel trattamento di artriti da microcristalli e di malattie auto infiammatorie, la colchicina. Questi studi disegnati con rigore scientifico e patrocinati dalla Società, stanno reclutando nuovi pazienti e presto ci daranno risultati definitivi”.
Proprio per facilitare il rapporto con i malati, la SIR avvierà poi nelle prossime settimane un nuovo progetto di telemedicina. Attraverso una piattaforma specifica sarà possibile organizzare televisite reumatologiche e rendere possibile lo scambio di informazioni cliniche tra personale sanitario e paziente.
“E’ un esperimento interessante che auspichiamo possa presto essere esteso – sottolinea Giandomenico Sebastiani, Segretario generale SIR -. L’emergenza Coronavirus ha dimostrato come si possono sfruttare alcuni sistemi di telemonitoraggio domiciliare per la gestione dei malati cronici da remoto. Si tratta però di strumenti supplementari al controllo medico diretto che deve comunque restare la base imprescindibile nel rapporto con il paziente”.